Lettera inviata da Vincenzo Scala al Club Acicastello Riviera dei Ciclopi
Cari Amici Lions, se stasera non sono con voi per celebrare la nostra Charter Night è tutta “ colpa” degli amici volontari dell’ospedale di Ampasilava che nei giorni scorsi mi hanno sottoposto la necessità di una missione chirurgica. Così ho deciso di TORNARE a fornire assistenza in quei luoghi.
Il viaggio aereo decisamente lungo ( 18 ore ) non è la parte più impegnativa .
L’arrivo e l’avvistamento della “Casa dei Geki” ( il nostro alloggio ) e dell’”Ospedale Vezo” è come un miraggio dopo un tragitto di 10 ore lungo strade sterrate, tra dune di sabbia e foresta spinosa , pressoché disabitati, difatti nella regione manca la rete elettrica ( l’ospedale si è dotato di gruppi elettrogeni a nafta), l’ acqua viene da pozzi aperti ,la strada è peggio della Parigi Dakar ( 10 ore di 4×4 per 180 km dall’areoporto di Tulear), non c’e Tv o radio, e internet è un raro lusso.
I Cellulari non hanno copertura costante , le famiglie e gli amici sono veramente lontane, come pure la politica e lo sport.
I pazienti malgasci ci attendono tutte le mattine “appollaiati” sulla collinetta di sabbia di fronte all’ospedale finchè non arriva il loro turno e, se non si riesce ad accontentarli, tornano il giorno seguente senza brontolare. Pazienti davvero “pazienti” e soprattutto sprovvisti di alcuna malizia o sfiducia verso il loro “aggiustatore” del momento.
Il loro concetto di vita e morte è semplice, ma lineare, se non c’è più speranza per un anziano o giovane che sia, dignitosamente si allontanano per accudire il malato a casa, naturalmente fino all’exitus.
La popolazione del villaggio non parla francese, ma solo l’idioma locale, vive di pesca, pastorizia, scarsa agricoltura e piccolo commercio: è povera , ma dignitosa, onesta accogliente e grata, forse fiera della piccola struttura sanitaria creata dai volontari italiani tra quei villaggi che si chiamano Andavadoka e Ampasilava al sud ovest sulla costa del Madagascar nel canale di Mozambico. La cosa che colpì due anni fà è il loro aspetto decoroso e civile, considerando che vivono tutti in capanne di paglia e bambù, prive di bagni e di corrente elettrica e di acqua corrente. Ammirevole il loro carattere contraddistinto da riservatezza, educazione, orgoglio (non chiedono elemosina ma si accontentano di essere fotografati e ricevere qualche “cadeaux” dal “ vasaha” ). Chi viene non dimenticherà mai i loro sguardi e i loro sorrisi pieni di gratitudine, il nostro è sempre solo un piccolo aiuto a quella gente che invece ci regala tanto solo con la sua semplicità.
Una raccomandazione mi assilla sempre alla partenza: non feririmi, perché in quel paese “batteriologicamente a noi ostile”, le ferite si infettano facilmente e tendono a non guarire!!! …quindi devi prestare molta attenzione non solo sul lavoro ( MALARIA- AIDS-TBC), ma anche nella alimentazione ( TIFO-ENTERITI – COLERA) e nel tempo libero quando ci si incammina a perlustrare i dintorni, mai utilizzare infradito ma sempre calzetti e scarpe chiuse.
Per ciò che riguarda il paesaggio che circonda l’ospedale, il villaggio di pescatori, i colori mozzafiato del mare, le spiagge e le isole limitrofe, è sufficiente guardare le fotografie per capire che ci si trova in una natura paradisiaca, dove le giornate e la vita sono scandite dallo scorrere dell’alba e del tramonto. Il cielo tempestato di stelle che ogni sera lo guardi e scopri nuovi pianeti….con stelle cadenti a grappoli pronte a essere raccolte e poste in un cesto di vimini, come la frutta..La luna piena sulla sabbia bianca illumina quasi a giorno la notte, facendo dimenticare e apprezzare nel contempo l’assenza di corrente elettrica.
Perché partire? Perché fare il chirurgo in queste aree tecnologicamente desertiche vuol dire anche sperimentare il proprio lavoro in contesti diversi, perché lavorare nel proprio ospedale con un certo tipo di malati (e di parenti!) dopo un po’ ti fa perdere di vista lo scopo esatto del tuo lavoro. Ormai i media ci propinano l’idea che da un ospedale bisogna uscire sempre in verticale e invece a volte si esce in orizzontale, e di questa realtà dobbiamo convincerci al di là di singoli episodi spiacevoli .
Come dico ai miei allievi la medicina e la chirurgia non sono scienze esatte ma empiriche e per di più sono le uniche che lottano contro la natura, e a volte la natura vince sulla vita.
La maggior parte di noi sogna da sempre un viaggio che non è una semplice vacanza in paesi lontani, ma un viaggio pieno di incontri, di sorrisi e di vite che incrociano il nostro sentiero. Quando realizziamo il nostro sogno diamo consistenza alla realtà, rendendola magica e vivida insieme, e altresì regaliamo agli amici rimasti a casa la convinzione che i sogni si possono realizzare, basta crederci . Spesso mi avete chiesto dove trovo la spinta a viaggi estremi e anche pericolosi , ebbene dopo la prima volta quella spinta l’ho trovata nell’espressione di gratitudine e fiducia dei pazienti che da giorni aspettavano l’arrivo da lontano di un gruppo di perfetti sconosciuti, con nessuna referenza, con nessun diploma di laurea affisso dietro alla scrivania, con nessun nome a garanzia della buona riuscita dell’intervento. Non capivamo una sola parola della loro lingua, ma quegli occhi parlavano il linguaggio universale, il linguaggio dell’amore di una madre o di un padre per la figlia. Quegli occhi hanno cancellato ogni stanchezza dal nostro corpo, lasciando un’unica convinzione che lì, in quell’angolo di paradiso, il detto “tutti sono utili nessuno è indispensabile” non vale, lì tutti sono utili e indispensabili, dal medico al chirurgo, dall’infermiere all’ausiliario, dallo specializzando al civile. La loro non è una gratitudine clamorosa, ma nel loro tornare e nel vedere crescere il numero di pazienti di mese in mese capisci che ti stanno dando fiducia.
Pazienza se certe volte non ti inquadrano come medico, ma solo come “vasaha”, straniero bianco; l’importante è che capiscano che hai fatto tanta strada per assaggiare un altro rapporto medico-paziente, per metter da parte tante finezze tecniche e scientifiche .
Pazienza se sai dire in dialetto Vezo solo acqua calda (ranu mafana) o acqua bollita (ranu mandeve) o acqua fredda (ranu manici), per farti capire userai i gesti e gli occhi a completare quello che la lingua non pronuncia.
Alla fine si sorride insieme ai pazienti ed insieme ad un fantastico gruppo di amici e colleghi di avventura, che condividono con te questo sogno di speranza, che ti fanno sentire a casa anche se non li hai mai visti prima, che ti fanno sentire orgogliosi di essere medici, chirurghi, ma soprattutto persone.
Lì, all’ospedale Vezo di Andavadoaka esserci fa davvero la differenza.
Volevo ringraziarvi per la bellissima opportunità che stasera mi avete dato.
A presto, Vincenzo Scala